La regola dell’eccezione
Ti ricordi l’URSS? Ti ricordi la guerra fredda, le spie, il muro di Berlino, l’Europa dell’Est, il blocco sovietico?Ti ricordi che c’erano i buoni e i cattivi? E i cattivi erano loro, i sovietici, quelli che facevano la parata del 1°Maggio con la sfilata di truppe e armamenti. La stella rossa sui berretti. L’Internazionale cantato a squarciagola. Gorky Park non è niente di tutto questo. Basterebbe chiamarlo Central Park. Sostituire CIA a KGB e… no forse è troppo facile. Qui c’è l’Unione Sovietica che ti aspetti e quella che ti sorprende. C’è un delitto, un triplice delitto, c’è il depistaggio, l’intrigo, i giochi di potere, certo. Poi c’è il freddo. Il paesaggio che si fa complice dei fatti, non potrebbe essere altrimenti. C’è il fascino del protagonista che supera qualsiasi barriera, come se si trasformasse dell’investigatore ideale, un solitario, incomprensibile perché incompreso, tenace e fragile nello stesso tempo, fedele a se stesso fino alla fine. Conoscere il colpevole diventa solo la scusa facile per immergersi in un’atmosfera che non c’è più. Così può accadere che una specie di nostalgia ti pervada, la nostalgia per un mondo che non c’è più, quando sapevi da che parte stare, forse ingenuamente, e gli amici erano amici e i nemici erano nemici. Era forse un’illusione. Eppure era tutto facile e le eccezioni confermavano ancora la regola.
Nostalgia magari dei film uesterns dove il buono vestito di bianco e il cattivo vestito di nero. Semplice semplice. La caduta del muro è stata una benedizione, la maledizione è che è caduta solo la loro metà quella di qua e mi pare che sia ancora saldissima.
Il brutto, ti sei dimenticato del brutto!
È che i muri sono diventati invisibili…o forse siamo ciechi noi.
Ricordo il film. Piaciutissimo. Con l’algido e fascinoso W. Hurt… Da rivedere. Ma soprattutto da leggere! Grazie per questa nostalgia (anche di quel freddo, si…)
William Hurt ha la faccia giusta. Ci avevano azzeccato. A breve rivedrò anche il film .
Appassionata, appassionante, recensione. Buongiorno Poeta (qui più che mai) Rossa.
Ora non ti resta che leggerlo
continuano ad essere loro i cattivi… nulla è mutato
Dici? No no i cattivi non sono più quelli che mangiano i bambini…
non li mangiano più, o non li fanno (estinzione programmata) o cantano bella ciao… ciao poetessa rosè! un bacio…
Cantano bella ciao???
Orrore!!!
Io ci sono stato (per lavoro) quando c’era il regime e dopo. Il cambiamento é stato enorme e troppo veloce, malgrado in alcuni di loro sia rimasta molta nostalgia. Tuttavia devo dare ragione e Bertow: loro il muro l’hanno davvero buttato giù, ma per l’occidente rimangono il diavolo.
Ti posso assicurare che il romanzo in questione, se pur molto bello e di successo, sembra scritto da uno che non é mai stato in Unione sovietica. E’ doloroso ricordare certe cose, ma la realtà era peggiore di quella descritta da certa letteratura divulgativa o dal cinema.
P.S. Gorky Park é un posto molto triste e squallido, ma nel complesso la Russia é di una bellezza da togliere il fiato.
Allora, partiamo dal fatto che Gorky Park è un romanzo e non un saggio, e i romanzi si basano sulla verosimiglianza e sulla capacità, per alcuni di loro, di fare intrattenimento. Per questo trovo che sia un bel romanzo, un buon giallo, scritto bene. Che la realtà fosse peggiore lo so, anche se non l’ho mai vista. Qui ci sono volutamente degli stereotipi ma, ripeto, il fine di questo libro è intrattenimento, non deve e non vuole documentare. Ho volutamente semplificato l’idea dei buoni e dei cattivi, del comunismo e del capitalismo perché c’è stato un tempo in cui sembrava si potesse scegliere solo tra due fazioni. Ora lo sappiamo bene che buoni e cattivi non sono mai esistiti e non esistono, né dall’una né dall’altra parte, e se anche sono caduti dei muri ne sono stati costruiti degli altri, visibili e invisibili.
Non sono mai stata in Russia, probabilmente non ci andrò mai. Se ci andassi finirei con il fare la turista, che segue i consigli della guida, fosse anche la più alternativa. Per capire l’anima di un paese bisogna conoscerne la storia e bisogna viverci davvero, per un tempo sufficientemente lungo da poterci entrare e non sentirsi straniero. Bisogna saper parlare la lingua, perché non solo le parole, ma anche le inflessioni, il tono e il ritmo di una lingua dicono tantissimo di un popolo. Bisogna in buona sostanza entrare e vivere in quella cultura. Se no rischi di vedere senza capire.
(forse per questo motivo ultimamente cerco i paesaggi più che le persone, la natura più che la cultura, la fatica di una camminata in salita piuttosto che perdermi per le vie di un centro storico. il silenzio e non le voci)