C E M E N T O

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Penso troppo. Penso sempre. Penso che se i miei pensieri avessero una voce io non tacerei mai e sarei già morta per disidratazione. A volte ho pensieri verdi e rigogliosi e volte secchi e gialli come foglie autunnali. A volte ho pensieri inzuppati di lacrime, ma mi servono per non piangere, a volte ho pensieri di cemento armato, antiatomici come i rifugi anni 80 durante la guerra fredda, si nutrono di scatolette metalliche e hanno tutti lo stesso sapore. Come adesso. Adesso ho esattamente nella testa un cubo di calcestruzzo fatto a regola d’arte. Un cubo grigio e spigoloso. E ruvido. Non si sbriciola e non si scalfisce. Un cubo chiuso in se stesso, che suona pieno se lo batti, ma sordo come un tonfo di corpo morto. Un cubo di cemento armato antisismico. Uno di quelli che non crollano, non una crepa. Ma ho avuto anche pensieri che erano faglie che si muovevano e generavano terremoti e liberavano energia, pianti sonori, vaffanculo, abbracci e stupore. Il cubo di cemento non ha niente di poetico e neanche uno bravo davvero ci tirerebbe fuori dei versi come si deve. Nel cubo è tutto bloccato, come nell’ambra di Fringe. Se mi sforzo l’unica cosa un po’ in movimento che mi viene in mente è un televisore col tubo catodico che non riesce a sintonizzarsi e mescola coriandoli in bianco e nero a strisce scomposte.