La donna che scrive lettere d’amore (e di addio) Please, return to sender, unable to forward

La donna che scrive lettere d’amore (e di addio)
Please, return to sender, unable to forward

Da qualche tempo scrivo a pagamento lettere d’amore e lettere d’addio.
C’è ancora chi non si dichiara per esseemmeesse, Whatsapp o peggio, si molla. Ma non sa scrivere.
Mi conoscono per passaparola. O perché passano davanti a casa mia.
Il portoncino è una porta irlandese di un bel verde prato e accanto ci ho messo una targhetta come quella dei medici o dei notai.
S.G. – scrittrice di lettere d’amore (e di addio)
Si riceve per appuntamento 555-13051974
Non ci crederete ma è un lavoraccio che consuma l’anima e rende bene.
Non c’è un albo degli scrittori di lettere d’amore (e di addio), e non ho una tariffa prestabilita.
Funziona così. Io chiedo “quanto ti costerebbe non scrivere nulla?”. E la risposta che più spesso mi danno è “Troppo”. Così concordo in genere il prezzo di una cena, che è un classico per dichiararsi e anche per mollarsi.
Vi dicevo che è un lavoraccio. Eccome.
Arrivano tipi e tipe stravolti e stralunati che non sanno da che parte incominciare.
Ci sediamo in salotto, dico loro di accomodarsi dove preferiscono e di raccontarmi tutto liberamente, come viene viene.
Quello che mi interessa sono i dettagli, per la fare la differenza. Amore e addio sono assoluti, sono per me il punto di partenza. Mi servono i particolari, anche solo uno, quello che mi fa dire (fa dire loro) “l’ha scritta per me”.
Così gente innamorata che non sa cosa dire all’amore io trovo le parole belle che faranno innamorare.
Gente delusa che non ha più parole e lacrime, io trovo la via giusta per farle sgorgare, come un idraulico che libera il tubo strozzato da un corpo estraneo.
A volte mi innamoro un po’ anche io mentre scrivo. Oppure sento il dolore dell’addio. Le parole degli addii sono faticose e spesso immeritate, per il destinatario. Chi non ama o non ama più a volte non meriterebbe davvero nulla, solo un’Indifferenza alla Pavese. Ma questo non si può dire al cliente.
Mi sforzo e trattengo le lacrime fino a quando non se ne sono andati e ho chiuso la porta. Le lettere le scrivo subito, di getto, così come dovrebbe essere. Mica per altro sono una professionista.
Consegno il lavoro in busta chiusa e consiglio sempre di ricopiare la lettera con la propria grafia.
La mia professione ce l’ho nel sangue e l’ altro giorno, scartabellando nel mio archivio, in una sottocartella del XX secolo, in un formato word obsoleto (sic) ho trovato il mio primo addio, anzi una lettera di addio ante litteram.
Mi ricordo bene quando l’ho scritta. A Ossuccio sul Lago di Como in un mese di novembre che c’era la nebbia. Mezzanotte era rintoccata dal campanile e, chiusa in auto, mi ero messa a riscrivere l’addio che avevo pronunciato pochi minuti prima.

Così mi accorgo che non ho più niente da dire.
Che la magia non è più possibile.
Che non ho voglia di inventarmi parole nuove.
Che sono stufa delle parole.
Che tutto questo non ha alcun senso.
Perché le svolte sono necessarie.
Perché io vivo.
Non aspetto di vivere, come fai tu.
Perché potrei morire domani.
Perché a te non importa nulla di vivermi.
Perché ti basta così.
E non è questione di tempo ma di volontà.
E se non l’hai capito non l’hai capito e basta.
Ed io sono fatta così.
E tu sei fatto a tuo modo.
Ci siamo sfiorati.
Ma toccati mai.
Presi mai.
Ed io non ho voglia di aspettarti, perché ti ho aspettato troppi anni.
Perché non so se ne vale la pena.
Anzi credo che non ne valga la pena.
E adesso dentro c’è una specie di vuoto inevitabile.
E’ finita
Svaporata come questa nebbia domani mattina

E nemmeno adesso ci sei, adesso che ti sto mollando, davanti a questo lago, perfetto per un addio, perché hai perso l’aereo ma io non lo sapevo. Non mi hai avvisata e ti ho aspettato agli arrivi fino ad un’ora fa, come una cretina in piedi lì davanti, con una rosa in mano come nei film. Quelli del tuo volo uscivano e li ho visti tutti, uno per uno, uscivano i Mr Brown di turno salutati dagli autisti di turno, e usciva Miss Macallan con bottiglia di whisky e c’era anche un tale Mr Mecleod che mi si è parato davanti e non ho capito niente di quello che mi ha detto se non che era Mr Mecleod ed era in evidente stato di alterazione da alcool, e sono uscite le sorelle Macdonald, il Dottor Fumagalli e una scolaresca di Edimburgo.

La mattina dopo ho ricopiato tutto, chiuso in una busta, dove ho scritto bello chiaro destinatario e mittente.